IL TRIBUNALE

    Nella causa promossa da Fonderit S.r.l., opponente;
    Contro Albauro S.r.l., opposto;
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Lo stato del processo.
    In  data  30  settembre  1984  e' intervenuta la stipulazione del
contratto  di  locazione  relativo  a  due unita' immobiliari site in
Milano,  viale Bianca Maria n. 45 con destinazione ufficio/foresteria
fra  la Immobiliare Alba S.r.l. in qualita' di locatore e la Fonderit
S.r.l in qualita' di conduttore.
    Nel   corso   del  rapporto  le  unita'  immobiliari  sono  state
trasferite  a seguito di fusione societaria alla Albauro S.r.l. e poi
per  effetto  di  successiva  scissione  societaria  alla Immobiliare
Bianca Maria S.r.l.
    La Albauro S.r.l. ha presentato in data 5 aprile 2002 ricorso per
ingiunzione  nei confronti del conduttore Fonderit S.r.l. chiedendone
la condanna al pagamento della somma di Euro 57.464,37.
    Il decreto ingiuntivo e' stato emesso in data 22 maggio 2002.
    Con  istanza  (priva  di data) il creditore Albauro ha chiesto la
rimessione  in  termini  per  la notificazione del decreto ingiuntivo
assumendo  che  il  fascicolo  era risultato irreperibile dopo che in
data 26 giugno 2002 era stata versata la tassa di registro.
    Con  decreto  del  20 settembre 2002 il presidente del tribunale,
preso   atto   del  «disguido  di  cancelleria»  (come  attestato  da
certificato  del  18  settembre  2002)  autorizzava  il  creditore  a
notificare il decreto ingiuntivo entro sessanta giorni dal decreto.
    Il decreto ingiuntivo veniva quindi notificato in data 1° ottobre
2002  e  opposto  dalla  Fonderit  con  ricorso  depositato in data 7
novembre 2002 ai sensi degli artt. 414 e 447-bis c.p.c.
    La  Fonderit  ha  eccepito  la tardivita' della notificazione del
decreto  ingiuntivo, avvenuta ben oltre il termine di giorni sessanta
come  previsto  dall'art.  644  c.p.c.,  ha  negato che la tardivita'
potesse essere venuta meno per effetto del provvedimento con il quale
la  Albauro  veniva  autorizzata  a notificare il decreto nel termine
successivo al 20 settembre 2002, ed ha quindi dedotto la sopravvenuta
inefficacia della ingiunzione.
    La  creditrice  ha  replicato osservando che la notificazione non
era  potuta  avvenire  nei  termini  in quanto il fascicolo era stato
temporaneamente  smarrito  e che tale fatto non imputabile alla parte
doveva  poter  essere  superato  con  l'istituto  della rimessione in
termini.
    Le norme di riferimento.
    Secondo  la  tesi  del  creditore  opposto, nel caso di specie il
presidente   del   tribunale   ha  correttamente  fatto  applicazione
dell'art. 184-bis c.p.c. al caso di cui all'art. 644 c.p.c.
    Secondo  la  tesi  del  debitore opponente, nel caso di specie il
rimedio della rimessione in termini non e' praticabile (come peraltro
affermato   anche   da   altro   provvedimento  del  medesimo  organo
dell'ufficio)  in  quanto  il termine si colloca fuori dal processo e
non  puo'  dunque  essere utilizzato per sanare l'inosservanza di una
decadenza  che  si  colloca  in  un  momento anteriore all'inizio del
giudizio.
    Le  norme  invocate  sono:  l'art.  644 c.p.c. stabilisce che «Il
decreto d'ingiunzione diventa inefficace qualora la notificazione non
sia  eseguita nel termine di sessanta giorni dalla pronuncia, se deve
avvenire  nel  territorio  della Repubblica e di novanta giorni negli
altri  casi;  ma  la  domanda  puo'  essere  riproposta»; a sua volta
l'art.184-bis  c.p.c.  invocato  dalla difesa dell'opposta stabilisce
che  «La  parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa
ad  essa non imputabile puo' chiedere al giudice istruttore di essere
rimessa in termini».
    Sulla  non manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale L'art. 184-bis c.p.c. nella sua attuale formulazione a
seguito  della legge 20 dicembre 1995 n. 534, consente alla parte che
sia incappata in una decadenza ad essa non imputabile di poter essere
rimessa  in  termini e poter quindi esercitare di nuovo il diritto di
difesa.  L'istituto  si  applica  a  tutte  le  attivita' e ai poteri
processuali  sottoposti  a  decadenza  e  che  siano esercitabili nel
giudizio  di  merito,  sin  dalle  fasi  introduttiva, come accade ad
esempio   per   la   decadenza   nella   proposizione  della  domanda
riconvenzionale.
    Proprio   per   questa   ragione   l'interpretazione  che  si  e'
consolidata  e'  stata  nel  senso  di escludere che la rimessione in
termini  potesse  venire  invocata  per  l'esercizio  del  potere  di
impugnazione,  in  quanto  potere  che  si  esercita  al di fuori del
processo  [Cass.,  27  luglio  2002, n. 11136; Cass., 30 luglio 2002,
n. 11218;  Cass.,  26 febbraio 2002, n. 2875; Cass., 6 dicembre 2000,
n. 15491;  Cass.,  8  maggio  2000,  n. 5778; Cass., 23 ottobre 1998.
n. 10537;  Cass.,  25  maggio 1998, n. 5197; Cass.,17 settembre 1997,
n. 9257].
    L'art. 184-bis  c.p.c.,  per  la  sua  collocazione nel libro II,
titolo  I,  capo  II,  sezione II sotto la rubrica «della trattazione
della  causa»,  riguarda  le  sole ipotesi in cui le parti costituite
siano decadute dal potere di compiere determinate attivita' difensive
nel  corso  della  trattazione  della  causa ed in questo solo ambito
rende  operante la rimessione in termini e la sua disciplina; questa,
pertanto,   non  e'  invocabile  per  le  «situazioni  esterne»  allo
svolgimento  del giudizio, rispetto alle quali vige tuttora la regola
della  improrogabilita'  dei termini perentori disposta dall'art. 153
c.p.c.  [Cass.,  27  agosto  1999,  n. 8999;  Cass., 15 ottobre 1997,
n. 10094].
    Quindi   dall'ambito  di  applicazione  dell'art. 184-bis  c.p.c.
sarebbero  esclusi  i poteri processuali esterni allo svolgimento del
giudizio,  come il potere di instaurare il processo di cognizione, il
potere  di  impugnare  la  sentenza,  il  potere  di  proseguire o di
riassumere il processo interrotto o sospeso.
    La norma va necessariamente coordinata con quella di cui all'art.
153 c.p.c. che stabilisce l'improrogabilita' del termine perentorio.
    Il  termine  di cui all'art. 644 c.p.c. e' appunto considerato di
natura  perentoria  e  quindi  non  prorogabile  [ex multis, Cass., 4
gennaio 2002, n. 67].
    Nel  sistema processuale non esiste una norma che in via generale
consenta  la  rimessione  in termini o altro rimedio volto ad evitare
conseguenze  pregiudizievoli  derivanti  da  condotte  non negligenti
della parte; vi e' pero' una parte della letteratura secondo la quale
esisterebbe  il  principio  generale di scusabilita' della decadenza,
quando  questa  non  dipenda  da  una  causa  imputabile alla parte e
precluda il diritto di quest'ultima ad essere ascoltata in giudizio e
l'esistenza  di tale principio e' stata accreditata in dottrina sulla
base  di  un'indagine  ad  ampio  raggio sia sul piano storico che di
diritto  positivo.  Le  norme  di diritto positivo che possono essere
valutate sono quelle di cui agli artt. 184-bis, 294, 650 e 668 c.p.c.
    Tali  disposizioni rappresentano pero' delle deroghe al contenuto
dell'art.  153  c.p.c. e come tali non possono che essere considerate
di stretta applicazione.
    In  tale contesto al tribunale non pare percorribile la soluzione
adottata  da  un giudice di merito di pervenire in via interpretativa
all'affermazione  della  rimessione  in termini per la fattispecie di
cui all'odierno giudizio.
    Si  tratta  quindi  di  verificare  se  nel  nostro  sistema  sia
importabile  come  principio generale quello della scusabilita' della
decadenza.
    Il  processo  civile italiano, nelle sua continue evoluzioni date
da  stratificazioni  normative,  interventi del giudice delle leggi e
indirizzi  del  giudice di legittimita' si rivela un sistema di norme
non  sempre  ben  orientato. Vi sono disposizioni organizzate per far
prevalere la regolazione formale di un giudizio (si puo' pensare alla
scansione  delle  preclusioni)  ed altre che sembrano invece avere di
mira  lo  scopo  della  raggiungimento  della verita' sostanziale dei
fatti oggetto di controversia (si pensi da ultimo alla vicenda, anche
costituzionale, dell'art. 281-ter c.p.c.).
    In  tale  cornice  non  e'  agevole  collocare la questione della
rilevanza  degli  impedimenti  di  fatto  all'esercizio  di un potere
processuale.
    Quanto  piu'  si  estendono  i  profili  di rilevanza si corre il
rischio  di  inficiare  un  andamento  ordinato  del  processo, ma al
contempo  si  rende effettivo il principio costituzionale del diritto
di difesa di cui all'art. 24 Cost.
    Il  bilanciamento dei contrapposti interessi e' una operazione da
condurre  con  prudenza e con estrema attenzione, non necessariamente
risolvibile  con  l'attribuzione  alla  sola  controparte  del potere
dispositivo  di  sollevare l'eccezione di decadenza (soluzione questa
adottata  nel nuovo rito societario di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003,
n. 5)  perche'  come  e'  prova  il  presente giudizio, l'altra parte
sollevando l'eccezione e' in grado di far emergere la decadenza.
    Un  bilanciamento  dei  contrapposti  interessi  potrebbe  essere
individuato  in  una  selezione  dei  possibili impedimenti di fatto,
magari  distinguendo  quelli  relativi  alla parte, al difensore o in
genere  a terzi. Questa scelta pero' non potrebbe essere affidata che
alla discrezionalita' del legislatore.
    In  passato  il  giudice  delle leggi [Corte cost., ordinanza, 18
maggio  1989,  n. 276]  aveva  dichiarato  infondata  la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 644 c.p.c. nella parte in cui
non  prevedeva  l'esclusione  della  inefficacia  per caso fortuito e
forza  maggiore, assumendo che il termine (allora di quaranta giorni)
fosse   il   frutto  di  un  ritenuto  ragionevole  il  bilanciamento
d'interessi  compiuto dal legislatore tra perentorieta' dei termini e
salvaguardia del diritto di difesa.
    Rispetto  a  quella  pronuncia  e'  certamente mutato lo scenario
normativo  come  e'  dimostrato  dall'inserimento  della norma di cui
all'art. 184-bis c.c.
    Per   cio'  solo  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
andrebbe  rimeditata in quanto il panorama normativo si e' modificato
lanciando  segnali  di  apertura verso l'istituzionalizzazione di una
clausola  generale  che  salvaguardi il diritto di difesa per effetto
dell'accertamento  di  una  situazione  di fatto che ha impedito alla
parte  di  esercitare  un  potere  processuale  secondo  la  piu' che
ordinaria diligenza.
    Con  particolare riferimento all'art. 1644 c.p.c., va considerato
che  la  decadenza  in  cui e' incorsa la parte creditrice, ancorche'
esterna al processo, non e' indifferente per il debitore posto che un
ritardo nella notificazione di un decreto ingiuntivo provvisoriamente
esecutivo  (come  e' accaduto nel caso in esame) puo' allontanare nel
tempo  la  conoscenza del provvedimento quando taluni effetti possono
essersi  gia'  verificati  (si  pensi  alla  iscrizione della ipoteca
giudiziale).
    Tali circostanze complessivamente valutate sono indici rivelatori
di  una  situazione  di incertezza che puo' essere rimossa solo da un
intervento del giudice delle leggi il quale valuti come prevalente il
riconoscimento della effettivita' del diritto a non vedere ostacolate
attivita'  processuali  da eventi esterni alla condotta della parte o
del  suo  difensore;  il  parametro  di  costituzionalita' violato e'
dunque quello di cui all'art. 24 Cost.
    Non  e'  solo  questo  pero'  il paradigma di confronto posto che
l'art. 184-bis   c.p.c.   deve  reputarsi  invocabile  anche  per  la
fattispecie  di cui all'art. 186-ter c.p.c. laddove va rammentato che
tale  disposizione richiama espressamente il regime della inefficacia
di cui all'art. 644 c.p.c.
    In  tale  contesto  emerge  anche  la violazione del parametro di
costituzionalita'  di  cui  all'art. 3 Cost., posto che verrebbero ad
essere  trattate  in  modo diseguale situazioni fra loro omogenee: il
creditore  che  ottiene  una  ordinanza  ingiunzione e non provvede a
notificarla alla parte contumace entro il termine di cui all'art. 644
c.p.c.,  se  l'evento  si e' verificato per causa non imputabile puo'
aspirare  alla rimessione in termini, diversamente da cio' che accade
per  il  creditore  che  abbia  ottenuto  il  decreto ingiuntivo ante
causam.
    La  norma  di  cui  all'art. 644  c.p.c.  nel  combinato disposto
dell'art.  184-bis  c.p.c.  appare in contrasto con i principi di cui
agli artt. 3 e 24 Cost.
    Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale.
    Se  si  ritiene  che  la  norma di cui all'art.184-bis c.p.c. sia
esportabile   nella  fase  del  procedimento  monitorio  che  precede
l'instaurazione  del  giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e'
evidente  che  il  tribunale  deve esclusivamente esaminare il merito
della  controversia,  mentre  se  si ritiene che il decreto sia stato
tardivamente notificato deve comunque revocare il decreto ingiuntivo,
con  conseguenti statuizioni sulle spese della fase monitoria e della
stessa opposizione, indipendentemente poi dal fatto che nel corso del
giudizio di opposizione a seguito della domanda di condanna formulata
dal   creditore,   il   debitore   opponente  possa  comunque  essere
destinatario  di  una  pronuncia condannatoria (nel caso di specie va
osservato  che  la  creditrice opposta si e' costituita all'udienza e
cioe'  oltre  il  termine  di cui all'art. 416 c.p.c., si che v'e' da
dubitare  della  ammissibilita' delle domande ed eccezioni ivi svolte
che non siano mere difese).
    In   tale   prospettiva   l'accoglimento   della   questione   di
legittimita' costituzionale legittimerebbe la condanna dell'opponente
anche  alle  spese del procedimento monitorio puro, ove alla fine del
processo  la  pretesa  creditoria venisse accertata. Diversamente, in
caso  di  rigetto  della questione, il debitore avrebbe diritto a non
essere  condannato  alla  rifusione  delle  spese del procedimento di
ingiunzione  [Cass.,  4  gennaio  2002,  n. 67; Cass., 30 marzo 1995,
n. 3783].
    Si  impone  quindi  la  rimessione  del  procedimento  alla Corte
costituzionale  perche'  valuti  la  legittimita'  degli  artt. 644 e
184-bis c.p.c. in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.